Nella prassi si ricorre alla donazione dell’immobile soprattutto tra genitori e figli o altri discendenti in linea retta, poiché la donazione è soggetta a un regime fiscale agevolato. L’atto è soggetto al pagamento dell’imposta di donazione e delle imposte ipotecarie e catastali. Con le precisazioni che seguono.

L’imposta di donazione non è dovuta se il valore del bene (che, si badi bene, è diverso da quello commerciale) è inferiore o uguale alla franchigia:

  • di Euro 1 milione, nel caso di donazione tra coniugi, parti di una unione civile, genitori e figli, ascendenti e discendenti;
  • di Euro 100 mila, nel caso di donazione tra fratelli e sorelle;
  • di Euro 1,5 milioni, nel caso di donazione a beneficio di persona portatrice di handicap.

Superati detti valori, l’imposta di donazione è dovuta e, ai fini della sua quantificazione, si applicano le seguenti aliquote:

  • 2% nel caso di donazione tra coniugi, parti di una unione civile, genitori/figli, ascendenti e discendenti;
  • 4% nel caso di donazione tra fratelli e sorelle e altri parenti.

Se la donazione avviene tra soggetti diversi da coniugi, parti di una unione civile, genitori e i figli, ascendenti e discendenti, fratelli e sorelle e altri parenti l’aliquota è dell’8% (es, tra soggetti in relazione ai quali non vi è alcun vincolo di parentela). L’imposta ipotecaria è del 2%, quella catastale dell’1%. Se, però, il bene oggetto di donazione è una “prima casa”, le imposte ipotecarie e catastali sono fisse nella misura, ciascuna, di Euro 200,00. Tuttavia, sarebbe opportuno conoscere gli effetti limitativi che la donazione ha ad esempio nel caso di futura vendita del bene ovvero su operazioni di finanziamento garantite dall’immobile donato.

Quali sono i rischi della donazione? Indichiamo di seguito, sulla base dell’esperienza acquisita negli anni, le principali caratteristiche della donazione e i vincoli relativi agli immobili ricevuti tramite questo negozio giuridico nel caso di successiva vendita del bene.

La donazione: un acquisto provvisorio

La donazione, diversamente dalla compravendita, non comporta un acquisto definitivo della proprietà del bene. Trattandosi di atto di liberalità, il legislatore considera la donazione come un trasferimento provvisorio che può essere rimesso in discussione dal donante (in vita ovvero nell’ambito della successione), oppure dagli stessi eredi i quali si ritengano danneggiati dall’atto di liberalità perché reputano violata la quota ereditaria loro spettante per legge (c.d. legittima).

La revoca della donazione

La donazione può essere annullata dal donante. Le cause della revoca sono l’ingratitudine e la sopravvenienza di figli. La revoca della donazione per ingratitudine è dettata dal fatto che il donatario si sia reso colpevole di ingiuria grave verso il donante ovvero abbia arrecato pregiudizio al suo patrimonio o gli abbia rifiutato la corresponsione degli alimenti dovuti ai sensi degli artt. 433 e 436 c.c. L’ingiuria consiste in un’azione del donatario che manifesti, in maniera palese verso l’esterno, un sentimento di disistima delle qualità morali del donante contrastante con il senso di riconoscenza che, secondo la comune esperienza, dovrebbe invece improntarne il comportamento verso questo ultimo (Cass. 13 agosto 2018, n. 20722).

L’adulterio non costituisce di per sé causa di revoca della donazione. Tuttavia, le modalità con le quali è commesso possono giustificarla. Così è nel caso di relazione extraconiugale intrattenuta dal marito con la moglie del fratello della donante e la circostanza che lo stesso si sia sviluppato all’interno dell’azienda di famiglia (Cass. 20 giugno 2022, n. 19816).

La revoca della donazione per sopravvenienza di figli risponde alla esigenza di consentire al donante di riconsiderare l’atto di liberalità effettuato a fronte della sopraggiunta nascita o conoscenza di un figlio. Ai fini della legittimità della revoca rileva, però, l’assenza in assoluto di discendenti al momento della donazione e non già il fatto che il donante avesse la consapevolezza dell’esistenza di un figlio; ma ciononostante si sia determinato alla donazione (Cass. 2 marzo 2017, n. 5345).

Le criticità da un punto di vista ereditario

La donazione può essere messa in discussione nell’ambito successorio. Il caso più frequente è quello degli eredi che ritengano violata (lesa) la quota di legittima.

Nel nostro ordinamento è previsto che a taluni soggetti sia riservata una quota di eredità indipendentemente o addirittura contro la volontà del testatore. Ciò per ragioni di solidarietà familiare e di dovere naturale. Tali soggetti vengono definiti legittimari o eredi necessari (coniuge e figli o, in assenza di questi ultimi, genitori del de cuius).

La legge li tutela attribuendo loro il diritto di ripristinare la quota di legittima lesa mediante l’esercizio dell’azione di riduzione; e nel caso di successiva vendita del bene a terzi, di quella di restituzione (si veda in proposito quanto dettagliato nell’articolo sull’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario)

L’azione di riduzione. L’azione si prescrive nel termine di dieci anni

Ai fini della determinazione della quota di legittima occorre procedere alla ricostruzione dell’intero patrimonio del defunto, mediante la riunione fittizia di ciò che è stato donato in vita a ciò che è rimasto al momento della morte.

L’azione di riduzione è tesa a fare dichiarare l’inefficacia, totale o parziale, della donazione nella misura strettamente necessaria per la reintegrazione della quota riservata al legittimario; il quale deve indicare con esattezza il valore della massa ereditaria e la quota di legittima violata, questo per dare modo al giudice di procedere alla reintegrazione (T. Nocera Inferiore, 16 luglio 2021, n. 996).

L’azione di riduzione è esperibile fino a 10 anni dalla data di apertura della successione.

L’azione di restituzione. Il termine di prescrizione di venti anni

Se, nelle more, il bene oggetto di donazione è stato venduto a terzi, il legittimario che si ritenga leso nella sua quota di legittima deve, prima di tutto, esperire contro il donatario l’azione di riduzione ai fini della reintegrazione della sua quota e, solamente in caso di esito vittorioso dell’azione e mancato ripristino (parziale o totale) della quota, ha diritto di rivolgersi contro l’acquirente del bene con l’azione di restituzione.

Azione di riduzione e azione di restituzione sono, dunque, due azioni distinte; la seconda presuppone il vittorioso esito della prima.

A differenza dell’azione di riduzione, l’azione di restituzione è un’azione reale in quanto tende a perseguire, con efficacia reale, il bene nei confronti di ogni subacquirente: il suo accoglimento si traduce nel trasferimento della proprietà del bene in favore del legittimario.

Il terzo acquirente può evitare la restituzione del bene in natura con il pagamento di un importo pari al suo valore al momento in cui la domanda è stata accolta.

L’azione di riduzione si prescrive nel termine di venti anni dalla data di trascrizione della donazione. Trascorso tale termine, il legittimario (vittorioso contro il donatario) perde il diritto di agire contro il terzo acquirente (a cui, nel frattempo, il bene sia stato venduto).

Gli svantaggi della donazione sulla circolazione dell’immobile donato

Emerge dunque che l’atto di donazione è esposto alla revoca da parte del donante (che può avvenire in vita oppure in sede successoria). Inoltre, è soggetto per un lungo arco temporale, alle azioni che sono esperibili dai legittimari che ritengano essere stati danneggiati dall’atto di liberalità compiuto dal donante. Sicché gli effetti dell’acquisto di un bene compiuto attraverso la donazione non potranno considerarsi definiti fino a quando non siano decorsi 10 anni e sempre che, nelle more, non sia stata introdotta l’azione di riduzione. Anche il terzo acquirente è soggetto all’incertezza dell’acquisto in quanto contro di lui è esperibile l’azione di restituzione entro il termine di 20 anni dalla data di trascrizione della donazione.

L’immobile donato potrebbe, dunque, rimanere “bloccato” fino a 10 anni dopo il decesso del donante.

Possibili cautele e rimedi

Quali sono quindi gli strumenti che l’ordinamento giuridico mette a disposizione per mitigare la situazione di incertezza sulla libera commerciabilità del bene donato?

Innanzitutto, l’azione di riduzione è rinunciabile. Va però precisato che la rinuncia è valida solo se successiva alla morte del de cuius (v. art. 557, comma 2, c.c.); quindi non può intervenire prima della morte del donante, e se antecedente, l’atto è nullo in quanto integra un patto successorio (v. art. 458 c.c. secondo cui “è nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta o rinunzia ai medesimi”).

Una volta intervenuta la morte del donante la rinuncia è possibile. Essa non è soggetta a requisiti di forma, potendo avvenire sia espressamente, mediante atto recettizio diretto a coloro che ne sono i beneficiari, sia per fatti concludenti (T. Palermo 24 novembre 2017).

A differenza della rinuncia all’azione di riduzione, la rinuncia all’azione di restituzione è invece possibile anche prima del decesso del donante in quanto autonoma e distinta rispetto all’azione di riduzione e, diversamente dalla rinuncia all’azione di riduzione, non esplicitamente vietata nel Codice civile.

Proprio per favorire la commerciabilità dei beni donati durante la vita del donante l’atto di rinuncia all’azione di restituzione è trascrivibile a margine della trascrizione dell’atto di donazione (T. Torino 26 settembre 2014, n. 2298). In siffatto modo si realizza una sorta di “pubblicità-notizia” che favorisce i terzi interessati a conoscere tutte le notizie veritiere e utili riguardo la donazione (T. Pescara, 26 maggio 2017, n. 250).

Nella prassi si è affermato poi il ricorso alla stipula di una polizza assicurativa. Questa è volta a salvaguardare l’acquirente o la Banca che eroga il mutuo dal danno economico che potrebbe derivare a seguito dell’esercizio dell’azione di restituzione da parte dei legittimari. La polizza solitamente dura fino al termine di prescrizione dell’azione di restituzione. La possono sottoscrivere il donatario, il terzo acquirente ovvero l’istituto di credito che intende finanziare l’acquisto o la ristrutturazione del bene immobile.