Ai sensi dell’art. 1936 c.c., il fideiussore è colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui.
Per cui, in caso di morte del fideiussore, ai fini della corretta determinazione della massa ereditaria e della quota disponibile di cui il de cuius era legittimato a disporre, in costanza di una fideiussione non ancora escussa, è preminente chiedersi se sussista una posizione debitoria.
L’articolo 556 c.c. dispone che, per determinare l’ammontare della quota di cui il de cuius poteva disporre, si forma una massa di tutti i beni appartenenti al defunto al momento della morte detraendone i debiti.
Al quesito va data risposta negativa nei termini di seguito indicati.
La fideiussione prestata dal defunto è un debito ereditario tanto in quanto l’obbligazione di pagamento che la caratterizza sia certa e attuale. Conseguentemente, essa va esclusa dal passivo ereditario (al pari di un debito sottoposto a condizione) se la condizione non si è verificata.
Così si è espressa in riforma della sentenza della Corte di appello di Firenze che aveva detratto a priori l’importo della fideiussione prestata dal defunto, ritenendo irrilevante persino la circostanza che il conto corrente del debitore principale, cui ineriva la garanzia, fosse stato chiuso in epoca precedente l’apertura della successione.
In altri termini, la Corte di merito aveva detratto dall’attivo ereditario l’importo della fideiussione (quale debito) non solo in assenza di prova della attualità del depauperamento del patrimonio ereditario, ma senza tenere conto di un fatto idoneo, quanto meno in linea astratta, a escludere l’operatività della garanzia (perché il conto corrente del debitore principale era stato estinto precedentemente).