La caparra penitenziale prevista dall’articolo 1386 cc è rappresentata da una somma di denaro che una parte versa all’altra. Ciò avviene solitamente al momento della stipula del contratto, al fine di riservarsi il diritto di recedervi. La sua funzione, dunque, è diversa da quella della caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c. di cui si è detto nel precedente approfondimento.
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La funzione della caparra penitenziale ⇧
Riepilogando, la caparra confirmatoria ha lo scopo di rafforzare il vincolo contrattuale. Nel contempo, opera come forma di risarcimento del danno in caso di inadempimento dell’altra parte, dinanzi al quale la parte adempiente può recedere dal contratto. Quest’ultima, inoltre, invece di accedere all’azione generale di inadempimento e dare la prova del danno subito, può trattenere la caparra ricevuta o pretenderne la restituzione del doppio se è stata lei a versarla. Salvo che non sia espressamente previsto, la caparra di tipo confirmatorio non esclude il diritto della parte non inadempiente a pretendere dall’altra (inadempiente) il maggior danno causato dal proprio inadempimento.
La caparra di tipo penitenziale invece rappresenta il corrispettivo del diritto di recesso. Diritto che può essere attribuito a una sola delle parti ovvero, se espressamente indicato, a entrambe. Se a recedere è la parte che ha versato la sopra citata caparra, l’altra parte ha diritto di trattenere la somma versata. Se a recedere è la parte che ha ricevuto la suddetta caparra, l’altra parte ha diritto a pretenderne la restituzione del doppio.
Caparra penitenziale e diritto di recesso ⇧
Il diritto di recesso deve essere chiaramente indicato in contratto. Non è sufficiente l’uso del termine caparra penitenziale e il richiamo all’art. 1386 c.c. per far ritenere sussistente un diritto di recesso libero, di una o entrambe le parti, dal contratto. Quanto sopra in ragione del principio per cui il contratto, una volta che è stato concluso, ha “forza di legge tra le parti”. Le parti, una volta perfezionato tale contratto, sono tenute a osservarlo. Per cui non può essere sciolto che per mutuo consenso (ossia, nel caso in cui le parti si accordino per il suo scioglimento) ovvero per le cause che sono ammesse dalla legge (v. art. 1374 c.c.).
Diritto di recesso espressamente pattuito
Occorre, dunque, che il diritto di recesso sia stato espressamente pattuito, in termini chiari e non equivoci. Non è necessario ricorrere a forme solenni o sacramentali, tuttavia in mancanza di termini espressi si dovrà ritenere che la caparra risponda a una natura diversa e, segnatamente, quella sanzionatoria dell’inadempimento che è propria della caparra confirmatoria di cui all’art. 1385 c.c. (Cass. 2 dicembre 1993, n. 11946).
Se il diritto di recesso è stato espressamente pattuito, non è richiesta alcuna indagine sulla sua addebitabilità (trattandosi di diritto contrattuale). Il giudice dovrà quindi limitarsi a prendere atto del suo esercizio da parte del recedente. In caso di mancato spontaneo versamento, condannerà quest’ultimo al pagamento del corrispettivo dovuto all’altra parte a titolo di caparra confirmatoria (Cass. 18 marzo 2010, n. 6558).
Quando si versa la caparra penitenziale? ⇧
Il patto con il quale le parti convengono il diritto di recesso dell’una ovvero di entrambe ha natura reale. Esso, quindi, non è produttivo di effetti se non accompagnato dal versamento della somma di danaro. La caparra deve quindi essere versata al momento della stipula del contratto.
Tuttavia, le parti, nell’ambito dell’autonomia contrattuale, possono differire la dazione della caparra a un momento successivo alla conclusione del contratto purché sempre anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite (Cass. 24 aprile 2013, n. 10056).
Approvazione della clausola che prevede la caparra
La clausola contrattuale prevedente la suddetta tipologia di caparra non deve essere oggetto di specifica approvazione. Le caparre, le clausole penali e altre simili, con le quali le parti abbiano determinato in via convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto all’altra in caso di recesso o di inadempimento, non hanno natura vessatoria. Queste non rientrano tra quelle tassativamente enumerate all’art. 1341 c.c. alle quali viene, ex lege, attribuita una vessatorietà presunta. Pertanto, non necessitano di specifica approvazione (Cass. 30 giugno 2021, n.18550; Cass. 18 marzo 2010, n. 6558; T. Milano, 10 marzo 2022, n. 821).