La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12007 del 3 maggio 2024 a distanza di poco tempo è tornata a pronunciarsi sul tema della validità di quelle clausole che, inserite nei contratti di finanziamento (nella specie si tratta di mutuo), per la determinazione del tasso di interesse, rinviano al parametro Euribor nell’epoca in cui (2005-2008) ne è stata accertata una manipolazione da parte di alcune delle principali banche europee. L’unico precedente è rappresentato dell’Ordinanza n. 34889 del 13 dicembre 2023.

Di seguito approfondiamo quale sia la (reale) tutela esperibile dal mutuatario nel caso di richiamo all’Euribor nella clausola contrattuale di determinazione del tasso di interesse.

L’Euribor e l’intesa tra banche

L’Euribor (Euro Inter-Bank Offered Rate) è il tasso di riferimento dei mercati finanziari. Esso indica il tasso di interesse medio giornaliero delle transazioni finanziarie, in Euro, tra i primari istituti di credito europei.

Il 4 dicembre 2013 la Commissione Europea ha constatato la sussistenza di un cartello tra alcuni dei principali istituti di credito europei (Barclays, Deutsche Bank, Société Générale ed il gruppo Royal Bank of Scotland) teso a manipolare il tasso Euribor tra il 29 settembre 2005 e il 30 maggio 2008.

La questione affrontata dalla Corte di Cassazione riguarda la validità delle clausole contrattuali che, per la determinazione del tasso di interesse (moratorio o convenzionale) nei contratti di finanziamento, rinviino al tasso Euribor assunto dai contraenti come parametro di riferimento.

Quanto è possibile fare valere la nullità della clausola per illecita intesa restrittiva della concorrenza

Nello specifico, la Corte si è domandata se le suddette clausole contrattuali possano costituire una “applicazione” delle intese anticoncorrenziali illegittime accertate dalla Commissione europea, in analogia a quanto già in stabilito dalla medesima Corte con riguardo alle clausole dei contratti di fideiussione stipulati “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle da Banca d’Italia in quanto riproducenti le clausole 2, 6, 8 dello Schema ABI 2002 sanzionato perché contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE (Cass., Sez. U, Sentenza n. 41994 del 30/12/2021). Sul tema si veda anche il mio commento a T. Milano, 10 gennaio 2024.

La Corte si è espressa in maniera negativa, però non in termini assoluti. Infatti, affinché possa ritenersi che, in un contratto (cd. “a valle” dell’intesa), sia fatta applicazione di una intesa illecita (o pratica non negoziale) restrittiva della concorrenza posta “a monte”, occorre che uno dei contraenti sia a conoscenza dell’esistenza di quella determinata intesa (o pratica non negoziale), con un determinato oggetto e un determinato scopo e che intenda avvalersi del risultato oggettivo della stessa. Il che richiederebbe la prova che la banca, al momento della conclusione del contratto “a valle” (i.e. il contratto di finanziamento), sia o partecipe in prima persona dell’intesa anticoncorrenziale (in sostanza una dei partecipanti al “cartello”) o almeno consapevole della sussistenza di un’intesa tra altre banche volta ad alterare il valore dell’Euribor e abbia inteso avvalersi dei risultati di questa.

Quindi, per la Corte, il mero riferimento delle parti (istituto di credito e mutuatario), al parametro dell’Euribor in un contratto di finanziamento è, in linea di principio, legittimo. La sua illegittimità potrebbe essere dichiarata laddove sia accompagnata dalla prova, in giudizio, della consapevolezza, da parte di uno dei contraenti, del rimando a un parametro alterato da un cartello anticoncorrenziale.

Altri motivi di nullità della clausola.

La Cassazione è andata però oltre nel suo ragionamento. Consapevole del fatto che non si sarebbe potuto non dare pari rilevanza all’evidenza che, anche in assenza di detta consapevolezza del rimando a un parametro alterato da un cartello anticoncorrenziale, il contratto di finanziamento possa risultare, agli effetti pratici, alterato a danno del mutuatario a causa della sussistenza di una effettiva manipolazione del tasso Euribor a cui le parti hanno rimandato.

Diversamente, il mutuatario rimarrebbe privo di tutela.

Ebbene, in siffatta ipotesi, ad avviso della Corte, non è necessario “scomodare” le norme sulla concorrenza, ben potendosi rinviare a quel principio, di derivazione codicistica (art. 1284, comma 3 c.c.), in forza del quale il tasso di interesse voluto dalle parti deve essere determinabile o controllabile in base a criteri oggetti. Ciò al fine di evitare margini di incertezza o discrezionalità in favore dell’istituto mutuante (e a carico del mutuatario).

Conclusioni

Allora è inevitabile concludere che, laddove il parametro preso come base di riferimento dalle parti (tasso Euribor) sia stato manipolato da una attività illecita posta in essere da terzi (istituto di credito), viene meno il presupposto della sua oggettiva determinabilità (a cui, invece, le parti hanno inteso fare riferimento nel contratto). In siffatta ipotesi la clausola di rinvio inserita nel contratto non rispecchierebbe più la volontà negoziale di rinvio a un parametro oggettivo (e oggettivamente controllabile). Venuto meno il parametro, perché nella sostanza alterato e/o privato dei caratteri di oggettività a cui le parti hanno inteso rifarsi, la clausola deve ritenersi viziata da nullità parziale (originaria o sopravvenuta). Di converso, applicare al contratto di finanziamento il parametro illecito finirebbe per entrare in contrasto con l’effettivo regolamento voluto dalle parti.

Per dirla in maniera più semplice cambia la procedura; ma non la conclusione. Le clausole negoziali in discorso non sono nulle perché “a valle” di una intesa restrittiva della concorrenza posta “a monte” (tra le banche); ma perché non è determinabile l’oggetto stesso della clausola.