L’art. 79 della Legge 392/78 dispone la nullità delle clausole che:

  1. limitano (verso il basso) la durata del contratto,
  2. attribuiscono al locatore un canone maggiore di quello contrattualizzato,
  3. attribuiscono al locatore, in generale, un vantaggio in contrasto con le norme di legge in materia di locazione commerciale.

Le suddette clausole, anche se inserite in un contratto e, quindi, anche se sono il frutto di un accordo iniziale delle parti (locatore e conduttore), sono nulle. La ratio della nullità è da ricercarsi nell’esigenza primaria del legislatore di tutelare il contraente più debole (che nel rapporto locatizio viene individuato nel conduttore). In particolar modo si vuole evitare che il conduttore, a fronte della necessità del godimento del bene (dettata da motivi imprenditoriali), possa, al momento della stipula del contratto, soggiacere a richieste impositive del locatore (che è ritenuto il soggetto “forte”). Si tratta di una nullità che può essere fatta valere da chiunque abbia un interesse a farlo, rilevabile anche d’ufficio dal Giudice. La previsione nulla viene sostituita da quella di legge. Analizziamo le clausole nel dettaglio.

 

INDICE

  1. Clausole che limitano verso il basso la durata del contratto
  2. Clausole che attribuiscono al locatore un canone maggiore di quello di legge
  3. Clausole che attribuiscono al locatore un vantaggio in contrasto con le norme di legge

 

1. Clausole che limitano verso il basso la durata del contratto

A seconda dell’uso, il legislatore ha stabilito una durata predeterminata minima del contratto di locazione:

  • 6 anni, per gli usi industriali, commerciali, turistico – sportivi, ricreativi;
  • 9 anni, per gli usi alberghieri e teatrali.

Le parti sono libere di stabilire nel contratto una durata maggiore rispetto a quella legale; ma non una durata minore. In ipotesi di durata inferiore, questa viene automaticamente riportata a quella (minima) di legge.

Nella pratica può capitare che, allo scopo di eludere le norme sulla durata minima del contratto di locazione, il conduttore sia indotto a sottoscrivere, al momento della stipula del contratto, una comunicazione di recesso consegnata al locatore (e da questo fatta valere all’occorrenza) sotto la minaccia di non stipulare altrimenti l’accordo. Seppur sia chiaro l’intento elusivo delle norme sulla durata minima della locazione (e il pregiudizio arrecato al conduttore), il conduttore deve fornire la prova della contestualità della comunicazione rispetto alla stipula del contratto. Nulla vieta invece che il conduttore, in pendenza del rapporto, eserciti lui stesso liberamente il recesso previsto nel contratto.

2. Clausole che attribuiscono al locatore un canone maggiore di quello di legge

Occorre fare una premessa. Nell’ambito della locazione diversa da quella abitativa (industriale, commerciale, sportiva, ricreativa e turistico- alberghiera) vige il principio della libera previsione del canone. Per cui le parti non sono vincolate al rispetto di nessun limite quantitativo del corrispettivo della locazione e possono determinarne liberamente l’ammontare. Una volta che questo è stato stabilito però il locatore è tenuto al suo rispetto. Quindi, il divieto di inserimento nel contratto di clausole che attribuiscono al locatore un canone maggiore di quello di legge (e loro conseguente nullità) va inteso come divieto di clausole che attribuiscano al locatore un canone maggiore rispetto a quello convenuto con il contratto.

Inoltre, l’aggiornamento del canone per i contratti aventi durata pari a quella prevista di legge (6+6) non può essere superiore al 75% dell’aumento dei prezzi al consumo rilevato dall’Istat per le famiglie di operai e impiegati.

Effetti dei suddetti limiti

Gli effetti di questi due limiti sono:

  • no canone occulto. La nullità di qualsiasi patto, anche se esterno al contratto di locazione (esempio una scrittura a latere), con cui si dovesse riconoscere al locatore un canone maggiore rispetto a quello indicato in contratto;
  • sì canone crescente. La validità di clausole contrattuali prevedenti un canone crescente nel corso del rapporto (canone a scaletta) purché ancorate a elementi oggettivi e non tese unicamente a bypassare il divieto di aggiornamento del canone in misura maggiore al 75% dell’indice Istat. Le parti possono accordarsi nel senso che il corrispettivo della locazione cambi in ragione del valore della cosa locata: per fattori estrinseci (perché, ad esempio, sanno che l’immobile si trova in una zona che si sta sviluppando, che sarà raggiunta da servizi ulteriori, etc.), oppure per fattori intrinseci al rapporto (dipendenti dall’incremento del volume di affari atteso del conduttore);
  • sì patto successivo. La validità del patto che nel corso del rapporto modifichi l’ammontare del canone, salvo che si dimostri che l’intento delle parti sia stato quello di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria eludendo i limiti di una maggiorazione maggiore al 75% dell’indice Istat (detto accordo non avrebbe effetti sul contratto).

3. Clausole che attribuiscono al locatore un vantaggio in contrasto con le norme di legge

  • No buona entrata. È nullo il patto che attribuisce al locatore un ammontare aggiuntivo rispetto al canone convenuto a titolo di fondo perduto, oppure a titolo di buona entrata (conferito da un soggetto che subentrasse in una locazione). Ciò violerebbe il principio di legge secondo il quale gli unici corrispettivi economici a cui il locatore ha diritto sono:
    • (i) il canone;
    • (ii) il deposito cauzionale.

Il patto è nullo anche se stipulato non dal conduttore ma da un terzo e il denaro dovesse provenire dal terzo;

  • no rinuncia preventiva indennità avviamento. L’indennità di avviamento commerciale spetta per legge al conduttore di immobile a uso diverso di quello abitativo perché essa è tesa a remunerare in parte la perdita dell’avviamento conseguente alla cessazione del rapporto locatizio nel luogo in cui l’attività di impresa (a contatto con la clientela) è stata esercitata. Per cui, il patto con cui il conduttore rinunci all’indennità dell’avviamento stipulato contestualmente alla stipula del contratto di locazione è nullo in quanto reso nel momento di massima debolezza contrattuale del conduttore dettato dalla necessità di prendere in locazione i locali. È invece valido il patto di rinuncia se successivo alla stipula del rapporto, perché il conduttore ha già potuto negoziare il contratto;
  • no rinuncia preventiva all’automatico rinnovo del contratto alla prima scadenza. Per le medesime ragioni di debolezza del conduttore, al momento della stipula del contratto è nullo il patto con il quale il conduttore dovesse rinunciare al rinnovo automatico del contratto previsto per legge. La finalità del rinnovo automatico del contratto è quella di salvaguardare la stabilità del rapporto in funzione della stabilità dell’impresa. Per questa ragione il legislatore ha individuato una durata minima del rapporto che deve essere rispettata (6+6 nelle locazioni commerciali e industriali, 9 +9 nel caso di locazioni alberghiere e teatrali). Questo significa che qualora le parti dovessero stipulare una durata iniziale del contratto pari a quella minima di legge (esempio, nel caso di locazioni commerciali e industriali, 12 anni (corrispondente ai 6 anni di durata iniziale + 6 anni di rinnovo previsti dalla legge) e di 18 anni nel caso di locazioni alberghiere e teatrali, corrispondenti ai 9 + 9), una rinuncia al rinnovo da parte del conduttore non andrebbe incontro a nullità, essendo la stabilità di impresa tutelata con il rispetto della durata minima del rapporto;
  • no aggiornamento automatico del canone. L’aggiornamento del canone è legittimo solo se previsto contrattualmente. Anche se previsto contrattualmente, l’aggiornamento non è automatico ma deve essere richiesto dal locatore. La richiesta può essere scritta o anche orale se le parti, nel contratto, non ne hanno predeterminato la sua forma. L’aggiornamento, per i contratti aventi durata pari a quella minima di legge, non può essere maggiore del 75% dell’aumento dei prezzi al consumo di famiglie e operai accertati dall’Istat. Facendo la legge riferimento ai contratti aventi una durata pari a quella minima di legge, significa che il limite del 75% non trova applicazione per i contratti che hanno una durata maggiore (esempio un contratto con durata iniziale di 13 anni, un contratto con durata iniziale di 12 anni e un rinnovo di 1 o maggiore di 1, un contratto con durata iniziale di 6 anni e un rinnovo di 7 anni). In questo caso le parti potranno prevedere un aggiornamento maggiore del 75% dell’indice dei prezzi al consumo per famiglie e operai accertati dall’Istat ovvero fare anche riferimento a indici diversi;
  • no rinuncia preventiva alla prelazione. La prelazione, al pari dell’indennità di avviamento, ha lo scopo di tutelare l’avviamento commerciale dell’imprenditore che eserciti una delle attività di cui all’ 27 Legge 392/78 a contatto diretto (continuativo e non transitorio) con la clientela. Per cui una sua rinuncia preventiva, cioè coeva alla stipula del contratto, è nulla, proprio perché resa nel momento di maggiore debolezza del conduttore coincidente con la sua necessità di prendere in locazione i locali;
  • no rinuncia al recesso per gravi motivi. Il legislatore riconosce al conduttore sempre la facoltà di recedere dal contratto quando, in pendenza, del rapporto si verificano fatti estranei alla volontà del conduttore che ne rendono oltremodo gravosa la sua continuazione. Appare dunque evidente che la rinuncia del conduttore alla facoltà di esercizio di detto recesso, assunta contestualmente alla stipula del contratto (e quindi nel momento di sua massima debolezza) debba reputarsi radicalmente nulla.
  • no versamento di una somma a titolo di deposito cauzionale maggiore di 3 mensilità canone.